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La tormentosa questione dell’elastico attaccato alla schiena (Parte II)

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Ricordate la storia dell’elastico attaccato alla schiena?

Ecco, è arrivato il momento di riprenderla alla ricerca di una soluzione alla questione.

La vicenda era più o meno la seguente:

Cerchi di andare in una direzione, ti sforzi, ti sforzi, ti sforzi, e per quanto tu ci metta tutto l’impegno possibile, ogni volta che ti muovi di qualche passo in avanti, ecco che subito dopo arrivi come ad un limite, per cui per ogni passo che hai fatto e per la forza (sarebbe meglio dire “lo sforzo) che ci hai messo, ecco che vieni riscaventato indietro, velocissimamente, fortissimamente, al punto di partenza.

Proprio come se ci fosse un elastico intorno a te, che ti lega ad un palo, dietro di te.

In questo stato di cose, l’avevamo visto nello scorso articolo, fare più sforzi diventa dannoso, non solo perché c’è un dispendio non indifferente di energie, ma perché, ancora peggio, ogni volta che l’elastico ti rimanda indietro la convinzione di poter andare in avanti viene a mancare e ad incrinarsi, volta dopo volta.

Sono sicura che mentre leggi questo articolo ti sarà venuta già in mente una situazione della tua vita perfettamente adattabile alla metafora.

Quindi, prendiamo come esempio la tua situazione e riflettiamoci su:

Non hai la sensazione, in base allo sforzo che stai impiegando per riuscire ad andare avanti, che la tua motivazione pian piano stia venendo meno?

Ti accorgi di come, volta dopo volta, inizi a farti delle domande che all’inizio non ti facevi: “ma sarà davvero quella la direzione che devo prendere? Ma non è che mi sto solo incaponendo? Forse mi sto montando la testa e là io non ci posso arrivare, ma devo abituarmi e rassegnarmi al fatto che devo stare dove sono (vicino al palo, nella nostra metafora) e devo smettere di credere in sogni inutili?”.

Ecco qua, se la tua mente si sta riempendo, o magari si è già riempita, di dubbi come questi, allora ti do una prima rassicurazione: le cose che stai pensando non sono vere. Sono solo uno dei sintomi della sindrome da elastico attaccato alla schiena.

Ma quindi? Come si fa?

Se hai già letto il primo articolo, dovresti aver già messo in pratica il primo consiglio: smettere di sforzarti e di conseguenza dare forza all’elastico. Già facendo questo (ah, in termini tecnici della terapia strategica questo passo viene chiamato: interrompere la tentata soluzione disfunzionale) la sensazione di spossatezza, disagio, disperazione, calo di autostima e frustrazione dovrebbero scemare.

Ok, siamo già a buon punto.
Adesso gli scenari successivi dovrebbero essere due:

  1. Fermandoti nella pazza corsa contraria all’elastico, il tuo elastico specifico potrebbe essere caduto a terra, e per te è diventato più facile scavalcarlo agilmente con un passetto e continuare, finalmente, per la tua strada. E’ il caso del problema che si risolve da sé nel momento in cui smettiamo di cercare a tutti i costi di trovarvi una soluzione. O per meglio dire, è il caso del problema che in fondo non esisteva, ma che era stato letteralmente creato dalle soluzioni che cercavamo di applicarvi.
  2. La corsa contro l’elastico è stata fermata, ma l’elastico continua ad essere attaccato alla tua schiena, quindi, in ogni caso, non riesci a liberartene e ad andare avanti.

A questo punto bisogna fare un passo in più, quello giusto: uscire dalla morsa dell’elastico.

Ma come si fa?

Ecco alcune domande per iniziare a scoprire qual è la natura del tuo elastico:

  • C’è sempre stato o è comparso da un certo momento in poi?
  • Se è comparso ad un certo punto della tua vita, sapresti identificare quando? Dopo qualche evento particolare? Dopo una rottura? Una separazione? Un lutto? Un grosso cambiamento?
  • Se invece c’è sempre stato, lo senti in tutti gli ambiti della tua vita o solo in uno in particolare? Ad esempio, la storia dell’elastico la vivi solo sul lavoro? Solo nelle relazioni sentimentali? Solo nella tua famiglia? O in più ambiti?
  • Hai mai sperimentato dei momenti in cui, invece, l’elastico non ti ha tirato indietro? Ci sono state delle eccezioni? Ci sono ancora? Quando ti senti libero/a dall’elastico? In che situazioni? In che momenti? Con chi?

Prendi carta e penna e rispondi con calma a queste domande.

Potrebbe venirne fuori che:

a) L’elastico è la conseguenza di una rottura, un lutto o un grosso cambiamento che in qualche modo ancora ti tiene legato/a. Potresti quindi avere bisogno di una mano per finire l’elaborazione di un qualche lutto e mettere ordine dopo un cambiamento che ti ha stravolto la vita, le cui conseguenze sono state difficili da gestire per te.

b) L’elastico lo hai solo in un ambito specifico della tua vita, in altri no. Quindi hai la capacità di muoverti in avanti, non è che tu non sappia farlo in assoluto, ma c’è una qualche sensazione che ti si scatena in un certo campo, che negli altri sta al suo posto e non viene a darti fastidio. Allora è il caso di diventare capace di gestire questa sensazione e cambiare il tuo modo di affrontarla direttamente sul campo.

c) L’elastico fa parte della tua vita a 360°: allora complimenti, vinci il premio per “grande autosabotatore” 😉 Scherzo, ma un po’ è così, se vogliamo dirlo in termini semplici, sei un professionista nel metterti i bastoni fra le ruote per fallire nelle cose che vorresti. Ma, al contrario di quello che tu possa pensare, questo è grandioso, e sai perché? Perché appena avrai scoperto come fai specificamente ad autosabotarti così bene e te ne renderai completamente consapevole tanto da riuscire a farlo in piena coscienza e deliberato consenso, allora saprai anche cosa dovrai evitare di fare per ottenere l’effetto contrario, e come d’incanto, la vita ti sembrerà più semplice e scoprirai l’enorme piacere (si, hai letto bene “piacere) di avere la piena responsabilità della tua vita e delle cose che ti accadono. Allora sogni, obiettivi e successi non saranno più il solito illusorio miraggio, ma semplicemente, passi da fare, quando li vorrai e come li vorrai.

Ora, questa ovviamente è un’analisi molto generica.

Le domande che ti ho posto sono un piccolo aiuto, ma ricorda che non equivalgono ad una vera e propria diagnosi psicologica.

Se senti di volerci vedere più chiaro nella tua situazione e vuoi una mano per levarti questo benedetto elastico dalle scatol… ops, scusa… dalla schiena, puoi chiedere un appuntamento dal vivo (se sei di Roma) cliccando qui, o via skype (se non sei di Roma) cliccando qui.

Intanto… mentre ci pensi… rispondi alle domande.

Che situazione hai? La a), la b) oppure la c)?

 

Perché quando siamo tristi le persone allegre ci danno quasi fastidio?

Avete presente quelle volte in siete giù per qualcosa che non è andata proprio come volevate e quando provate a parlarne in giro ecco arrivare le voci di chi sprona a ”non pensarci”, ”guardare avanti”, ”essere positivi” ecc… (Magari siamo noi quelle voci, per qualcun altro…).
Che fastidio vero? E che senso di solitudine…
Ma perché questi inviti a stare meglio, poi ci fanno sentire peggio?
Siamo davvero dei musoni vittimisti che si piangono addosso?
In verità le cose sono un po’ più complesse di così, e la questione principale riguarda il modo in cui funzionano il dolore e la tristezza.

Il punto è che siamo abituati a pensare di dover contrastare le nostre emozioni negative, perché a volte, le cose funzionano così!

Ad esempio, se hai paura di guidare e vuoi vivere una vita libera da questo tipo di limite, quello che dovrai fare, in un modo o nell’altro, sarà affrontare questa paura e pian pano metterti a guidare (qui gli approcci terapeutici hanno metodi diversi per aiutarti a farlo, ma lo scopo, alla fine sarà guidare, per forza).

Indugiare nella paura non farà altro che amplificarla e abbassare sempre più la tua capacità di entrare in macchina, girare la chiave, mettere in moto e partire, verso l’infinito e oltre!

Ma dolore e tristezza non funzionano così.

Se sei depresso per qualche motivo e le persone che ti vogliono bene vengono da te per spronarti a uscire, fare cose, vedere gente, l’unica cosa che accadrà è che ti sentirai più incompreso e solo di prima e se proprio riuscirai a fare tutte le cose che gli altri vorrebbero tu facessi, le farai con una difficoltà immane ed una pesantezza tale che, alla fine della festa, ti sentirai ancora più stanco, spossato e depresso di prima.

La tristezza vuole farci fermare.
Indica una ferita che va disinfettata.
O una frattura che va curata…
Non si può usare un cerotto per sistemare un braccio rotto, non ti pare?
Ma questo cosa significa? Che se sei triste devi chiuderti in casa, sul divano, davanti la TV a fare dei party di autocommiserazione?

Beh, forse si, forse a volte dovresti proprio farlo. Solo che non dovresti fermarti lì, perché accettare la tristezza è solo il primo passo per uscire dall’altro lato del tunnel.

Il dolore non va cancellato, né dimenticato, né sconfitto. Il dolore va ATTRAVERSATO.

Cosa fare quindi se si è tristi da troppo tempo e non si sa più come rialzarsi?

PRIMO: smetti di straparlarne in giro, e inizia a scrivere. Scrivere ti aiuta a liberarti di pesi altrimenti insostenibili e a guardare le cose da un’altra prospettiva (e non avercela con chi cerca di tirarti su, non sono tutti dei terapeuti. Ti vogliono solo molto bene. Solo che non sanno cosa fare, come te…).

SECONDO: A volte, è sufficiente rallentare, guardare in faccia questa tristezza, per farla trasformare, come accade in questa scena di INSIDE OUT…

TERZO: Quando il dolore assume forme più complesse, quando magari ha origine da qualcosa di più grave che un mero passaggio di umore basso, quando nasce da una perdita grossa della tua vita, da un lutto, da una separazione, o da un trauma, allora ci potrebbe volere l’aiuto di un professionista che ti aiuti a trovare la strada nel labirinto di sofferenza nel quale non fai che girare e rigirare senza via di scampo.

Ricorda, ci sono fosse dalle quali possiamo uscire da soli, con un po’ di impegno, ma alcune sono dei veri e propri pozzi e in quei casi, abbiamo bisogno di una mano che ci risollevi o che ci tiri una corda alla quale aggrapparci.