CategoryOssessioni e Compulsioni

Perche’ i traumi fanno male e perche’ a volte ci rimaniamo bloccati dentro

 

<<La vita è come una centrifuga>> diceva Elisabeth Kubler Ross <<sei tu che decidi se uscirne distrutto o ben levigato>>.

La vita è lineare, quello che crediamo, di solito, tende a realizzarsi, le cose vanno secondo i piani e più o meno tutto e sotto il controllo della nostra volontà… fino a che… non arriva lui: il trauma.

La parola “trauma” significa “ferita”, secondo il dizionario Garzanti, il trauma psichico è una “emozione che incide profondamente sulla personalità del soggetto”.

E’ una lacerazione, una divisione violenta della vita, uno squarcio esistenziale che ci annienta, ci mette a terra, ci schiaccia e ci fa in mille pezzi, dopo il quale diventa difficile, difficilissimo sentirsi “quelli che eravamo prima…”.

Dal trauma in poi il tempo della vita non è più lo stesso, viene scandito in un “prima” e in un “dopo”.

Tutto ruota intorno a quell’evento, quell’incidente, quel lutto, quella perdita, quella catastrofe, quel qualcosa che ha cambiato per sempre la nostra vita ormai fatta di ricordi, flashback, paure, dolore, rabbia, e dalla sensazione di non riuscire ad andare oltre. Stiamo fissi lì, in un putrido stagno esistenziale a guardare inorriditi quel “qualcosa” che è accaduto, che non ci aspettavamo, che ha devastato la percezione del mondo esistente fino a quel momento e che sta là, prepotente, senza cambiare di una virgola, nonostante passino i giorni, le settimane, i mesi, gli anni.

In quanto esseri umani, avremmo le capacità per uscire vivi da un trauma.

Possiamo farcela, è nelle nostre facoltà riuscire ad un certo punto a guardare le cose da una prospettiva che permetta di sopravvivere e riorganizzare la nostra vita, continuare a camminare, avere ancora delle speranze e sentirsi cambiati, si, ma anche migliorati, cresciuti, rinnovati.

Ma ci sono volte in cui le cose non vanno così.

Ci sono lutti dai quali non riusciamo a staccarci, eventi che non riusciamo a dimenticare, catastrofi che continuano a tormentarci.

Così la funzionalità della nostra vita viene compromessa.

Anche perché, come spesso avviene, nel tentativo di sistemare le cose facciamo più danni di quelli che già aveva fatto il trauma di per sè e per arginare le conseguenze del trauma ci auto-costruiamo nuovi disturbi da sovrapporre a quello post-traumatico:

  • Tentiamo di evitare situazioni o persone legate al trauma? Ecco che ci stiamo infilando in un bel disturbo fobico;
  • Cerchiamo un senso o delle spiegazioni a ciò che è accaduto e puntualmente ci arrendiamo al fatto che non riusciamo a dimenticare? Ecco l’inizio di una depressione;
  • Mettiamo in atto una serie di pratiche e rituali propiziatori per prevenire l’insorgenza di un altro trauma, o per riparare agli effetti del trauma subito? Il modo migliore per iniziare ad essere degli ossessivi compulsivi. 
  • O anche, tentiamo di lenire il dolore con qualche bicchierino di vino in più o con delle droghe e diamo il via ad una dipendenza ecc ecc…

Il più delle volte in cui non si riesce a superare un’esperienza traumatica è perché le nostre risorse sono bloccate proprio dai tentativi che mettiamo in atto per rispondere alle conseguenze emotive e psicologiche che il trauma ha avuto su di noi.

Lo scopo della terapia, quindi, non è quello di insegnare qualcosa di nuovo per superare il trauma, quanto quello di sbloccare le risorse che la vittima del trauma ha GIA’ dentro di se, ma che per una serie di motivi non riesce ad utilizzare.

Quindi, una prima domanda per cercare di sciogliere il tutto ed iniziare il percorso per sbloccarsi dalla situazione esistenziale stagnante e dolorosa di un post-trauma, è: “cosa stai cercando di fare per far fronte a quello che è successo?”

L’elenco che ne verrà fuori conterrà al suo interno proprio le cose che, invece di risolvere, ci inchiodano al trauma, facendo sì che il passato continui ad invadere il presente, senza permettere una progettazione del futuro.

A partire da quell’elenco, in terapia, si costruirà insieme un percorso ad hoc per superare davvero il trauma e ricostruire la propria vita. Così a partire dalla frattura si avrà l’obiettivo di guarire la ferita, permettere che essa cicatrizzi per andare avanti e costruire un equilibrio migliore, più funzionale, per ritrovare quel “piacere di vivere” che adesso sembra impossibile, ingiusto, o addirittura sbagliato e colpevole.

Per richiedere un appuntamento dal vivo (a Roma) o a distanza (Via Skype) cliccare qui.

Per approfondire la lettura dell’argomento si rimanda al testo: Federica Cagnoni – Roberta Milanese, Cambiare il passato, superare esperienze traumatiche con la terapia strategica, Ponte Alle Grazie, 2009, Milano.

 

Ti amo. Non ti amo. Non lo so. Nel dubbio: AIUTO!

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<<Ti amo. Tu mi ami?>>

Eccolo, il panico che sale.

<<Si…>>

Risponde timidamente…

<<Ma è vero? Vero vero vero???>>

Ed ecco che inizia il loop nella testa: “Oddio, forse non è vero. Forse non tanto quanto dovrebbe essere. Forse dovrei sentire più emozioni, sentire di più la mancanza, e quel battito continuo nel cuore una volta che sono alla sua presenza.Forse, dovrei anche non vedere nessun altro al mondo oltre lui, o oltre lei. Dovrei volermi sposare in ogni istante della mia vita, e respirare la sua aria e non poter fare a meno dei suoi occhi e… e… e… oddio… forse non è vero amore!”

Ci siamo! Eccolo! Questo è il perfetto dialogo interno di chi è affetto da quello che da poco è stato etichettato come Disturbo Ossessivo Compulsivo da Relazione, vale a dire una sintomatologia ossessivo-compulsiva che ha il suo focus sulle relazioni intime e che solo di recente ha iniziato a ricevere attenzione sia dal punto di vista clinico che di ricerca (Doron, Derby, Szepsenwol, 2014).

Cos’è e come funziona?

Semplice, anche se tormentoso per chi ne è affetto, si tratta di vere e proprie ossessioni che possono riguardare la relazione che si vive o caratteristiche più specifiche del proprio partner… o entrambe le cose, se si è particolarmente fortunati 😉

I dubbi e i pensieri ossessivi che riguardano la relazione suonano più o meno come il dialogo interno di cui sopra: “amo o non amo? E come faccio a sapere se amo? E se credo di amare, come faccio ad essere sicuro che provo ciò che dovrei provare? E cosa provo in realtà? Sto davvero bene o lo penso soltanto? E come so che il mio partner mi ama davvero?” E via dicendo. Tanti modi allegri e divertenti per mettere in dubbio qualsiasi cosa e riempirsi di paranoie ad alto contenuto ansiogeno insomma.

Quando i sintomi ossessivi sono focalizzati sul partner allora i pensieri vanno più ad analizzare le caratteristiche fisiche dell’altro, in base alla creatività di ognuno e qui ogni persona è diversa, perché ci sono sempre modi originali per essere folli ;-). Magari ci si fissa su quel punto del naso che proprio non riusciamo a sopportare, o sull’angolazione del viso che ci da fastidio non si sa bene perché, o su come ride, o sul tono di voce che ha, o su come respira e come muove la testa quando dice di SI.

Il tutto è molto, molto difficile da gestire, perché (se hai questo disturbo lo sai e se non lo hai prova ad immaginarlo), soprattutto se non vuoi prendere in giro nessuno o comunque se non vuoi perdere tempo e vuoi essere certo di stare vivendo la relazione “giusta” per te, proverai a mettere in atto una serie di comportamenti per trovare risposte alle domande continue che ti vengono in mente.

Quali comportamenti? Eccone alcuni:

  1. Prestare una continua attenzione ai propri sentimenti per assicurarsi che siano “veri”: è un po’ come tentare di afferrare una farfalla… più le vai dietro, più ti sfuggirà. I pensieri annebbieranno le sensazioni e finirai per non sentire più nulla se non la tua paura folle di non sentire nulla. Fantastico vero? Più cerchi di capire, meno capirai. Più cerchi di sentire, meno sentirai. Più cerchi la sicurezza, meno la avrai. Più rincorrerai la certezza, meno la troverai.
  2. Prestare continua attenzione ai propri comportamenti: sto guadando qualcuno? Perché ho guardato quello lì o quella lì? Forse allora non voglio davvero bene al mio partner? Forse non mi basta? Sto cercando altro? Questo significa che potrei tradirlo/la?” E così via su questa linea. Così, comportamenti che per gli altri sono normalissimi (magari ti sarai già sentito/a dire che anche se si è fidanzati gli occhi continuano ad esserci e che sono fatti per guardare ecc, ecc…), per te diventano fonte di ansia e angoscia. La paranoia continua che siano la prova del tuo non amore. Ecco allora che, magari, inizi ad evitare cose che potrebbero turbarti. Magari non vai alle feste per paura di incontrare qualcuno che attiri la tua attenzione, oppure quando cammini per strada stai a testa bassa nella speranza di non incrociare nessuno sguardo interessante e costruisci intorno a te, man mano, una piccola prigione in cui sentirti al sicuro per il semplice fatto che è priva di stimoli, visto che ogni stimolo che non sia il tuo partner e che ti generi delle sensazioni piacevoli ti manda nel panico. Solo che, sai cosa succede quando si vive in una gabbia? Prima o poi ti viene voglia di evadere. Ed è davvero un peccato, visto che nella gabbia ti ci sei messo/a da solo/a proprio per paura di trovare chissà che cosa fuori.
  3. Confrontare la propria relazione con quella di amici, parenti, film e telefilm o con altre relazioni passate o con le opinioni degli altri: un altro modo per tentare di mettere fine ai dubbi continui su ciò che si prova e sull’autenticità di ciò che si prova, sono i continui confronti. “La coppia di Alfredo e Marianna sembra meno innamorata di noi, però Marco e Giovanna sono più belli e più stabili. Oddio ma io dall’esterno sembro più come Diana o come Vanessa? E perché in quel film dicono di provare quelle cose e io non le provo?”. Confronti su confronti che se anche per un attimo sembrano tranquillizzarti, poi ecco che arriva un dettaglio, una parola o uno sguardo che ti rimette in crisi e riparte il loop, e l’ansia, e l’angoscia.
  4. Aggrapparsi con le unghie e con i denti a momenti della propria storia in cui si è miracolosamente sentito l’amore esattamente come si pensa di doverlo sentire sempre: “dai ma quella volta però mi sono sentito/a così e colà”, “quel giorno ero così felice, se ero così felice vuol dire che sono innamorato/a no?” ecc, ecc, ecc…
  5. Lasciarsi spesso e volentieri: un’altra soluzione che alcuni adottano per testare i propri sentimenti è quella di lasciarsi più o meno una volta alla settimana. Si arriva così tanto al punto di essere soffocati dai propri pensieri ossessivi, che pur di sentire un po’ di sollievo mentale, si decide sistematicamente di lasciare il partner, per poi piombare in una sensazione di mancanza totalizzante, arrivare al punto di sentire bello nitido il dolore e quindi dirsi “ohhh… lo vedi che lo amo? Ah, adesso posso tornarci insieme!”. Si vive in questo stato di estasi sentimentale per un giorno, un’ora o una settimana e poi, SBAM; eccolo di nuovo lo stimolo X che fa tornare i dubbi e il circolo ossessivo riparte.

Si può uscire da tutto questo? Certamente si. Con le giuste strategie.

Eccone 3:

  1. La prima mossa da fare in avanti è capire che tutti questi dubbi non sono il sintomo di poco amore, ma di uno stile di pensiero ossessivo. Ora lo so che ti sentirai un attimo di sollievo ma che subito dopo ti dirai “eh, ma come faccio a sapere che è davvero il mio caso? Magari SEMBRA il mio caso, ma non lo è!”. Ecco, questo pensiero, è solo un’altra manifestazione del disturbo. Quindi, vai avanti a leggere 😉
  2. Smettere di cercare confronti con gli altri: interrompere i tentativi di confronto che li per li ti rassicurano ma che poi ti riportano nei loop. Quindi, niente chiacchierate kilometriche con le amiche, né letture disperate di quello che dice la gente sui forum ecc. STOP all’aiuto da casa! Ok?
  3. Evitare di evitare situazioni, persone, e cose simili per paura che ti cada l’occhio su qualcuno ecc. per iniziare a pensare che più cercherai di capire, sentire e scoprire quello che provi veramente, meno lo saprai. L’obiettivo dovrà essere uscire dal proprio cervello per tornare dentro le sensazioni e restarci anche quando esse saranno ambigue, ambivalenti e instabili. Ed imparare, a poco a poco, a rimanere tranquilli nonostante la mancanza di assoluta certezza e fermezza emotiva. Ma anzi, tollerare i movimenti della propria vita emotiva mentre si costruiscono bei momenti da “semplicemente” vivere con il proprio partner.

Infine, se la cosa è davvero disturbante per te e da solo/a non riesci a tirartene fuori ricorda che puoi richiedere un appuntamento anche via Skype cliccando qui.

Intanto puoi anche iniziare ad utilizzare un’app molto utile (purtroppo però esiste solo in inglese) che aiuta a fare un piccolo training quotidiano per rendere le proprie percezioni più flessibili rispetto all’amore e alla propria relazione. Puoi trovarla qui.

La tormentosa questione dell’elastico attaccato alla schiena (Parte II)

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Ricordate la storia dell’elastico attaccato alla schiena?

Ecco, è arrivato il momento di riprenderla alla ricerca di una soluzione alla questione.

La vicenda era più o meno la seguente:

Cerchi di andare in una direzione, ti sforzi, ti sforzi, ti sforzi, e per quanto tu ci metta tutto l’impegno possibile, ogni volta che ti muovi di qualche passo in avanti, ecco che subito dopo arrivi come ad un limite, per cui per ogni passo che hai fatto e per la forza (sarebbe meglio dire “lo sforzo) che ci hai messo, ecco che vieni riscaventato indietro, velocissimamente, fortissimamente, al punto di partenza.

Proprio come se ci fosse un elastico intorno a te, che ti lega ad un palo, dietro di te.

In questo stato di cose, l’avevamo visto nello scorso articolo, fare più sforzi diventa dannoso, non solo perché c’è un dispendio non indifferente di energie, ma perché, ancora peggio, ogni volta che l’elastico ti rimanda indietro la convinzione di poter andare in avanti viene a mancare e ad incrinarsi, volta dopo volta.

Sono sicura che mentre leggi questo articolo ti sarà venuta già in mente una situazione della tua vita perfettamente adattabile alla metafora.

Quindi, prendiamo come esempio la tua situazione e riflettiamoci su:

Non hai la sensazione, in base allo sforzo che stai impiegando per riuscire ad andare avanti, che la tua motivazione pian piano stia venendo meno?

Ti accorgi di come, volta dopo volta, inizi a farti delle domande che all’inizio non ti facevi: “ma sarà davvero quella la direzione che devo prendere? Ma non è che mi sto solo incaponendo? Forse mi sto montando la testa e là io non ci posso arrivare, ma devo abituarmi e rassegnarmi al fatto che devo stare dove sono (vicino al palo, nella nostra metafora) e devo smettere di credere in sogni inutili?”.

Ecco qua, se la tua mente si sta riempendo, o magari si è già riempita, di dubbi come questi, allora ti do una prima rassicurazione: le cose che stai pensando non sono vere. Sono solo uno dei sintomi della sindrome da elastico attaccato alla schiena.

Ma quindi? Come si fa?

Se hai già letto il primo articolo, dovresti aver già messo in pratica il primo consiglio: smettere di sforzarti e di conseguenza dare forza all’elastico. Già facendo questo (ah, in termini tecnici della terapia strategica questo passo viene chiamato: interrompere la tentata soluzione disfunzionale) la sensazione di spossatezza, disagio, disperazione, calo di autostima e frustrazione dovrebbero scemare.

Ok, siamo già a buon punto.
Adesso gli scenari successivi dovrebbero essere due:

  1. Fermandoti nella pazza corsa contraria all’elastico, il tuo elastico specifico potrebbe essere caduto a terra, e per te è diventato più facile scavalcarlo agilmente con un passetto e continuare, finalmente, per la tua strada. E’ il caso del problema che si risolve da sé nel momento in cui smettiamo di cercare a tutti i costi di trovarvi una soluzione. O per meglio dire, è il caso del problema che in fondo non esisteva, ma che era stato letteralmente creato dalle soluzioni che cercavamo di applicarvi.
  2. La corsa contro l’elastico è stata fermata, ma l’elastico continua ad essere attaccato alla tua schiena, quindi, in ogni caso, non riesci a liberartene e ad andare avanti.

A questo punto bisogna fare un passo in più, quello giusto: uscire dalla morsa dell’elastico.

Ma come si fa?

Ecco alcune domande per iniziare a scoprire qual è la natura del tuo elastico:

  • C’è sempre stato o è comparso da un certo momento in poi?
  • Se è comparso ad un certo punto della tua vita, sapresti identificare quando? Dopo qualche evento particolare? Dopo una rottura? Una separazione? Un lutto? Un grosso cambiamento?
  • Se invece c’è sempre stato, lo senti in tutti gli ambiti della tua vita o solo in uno in particolare? Ad esempio, la storia dell’elastico la vivi solo sul lavoro? Solo nelle relazioni sentimentali? Solo nella tua famiglia? O in più ambiti?
  • Hai mai sperimentato dei momenti in cui, invece, l’elastico non ti ha tirato indietro? Ci sono state delle eccezioni? Ci sono ancora? Quando ti senti libero/a dall’elastico? In che situazioni? In che momenti? Con chi?

Prendi carta e penna e rispondi con calma a queste domande.

Potrebbe venirne fuori che:

a) L’elastico è la conseguenza di una rottura, un lutto o un grosso cambiamento che in qualche modo ancora ti tiene legato/a. Potresti quindi avere bisogno di una mano per finire l’elaborazione di un qualche lutto e mettere ordine dopo un cambiamento che ti ha stravolto la vita, le cui conseguenze sono state difficili da gestire per te.

b) L’elastico lo hai solo in un ambito specifico della tua vita, in altri no. Quindi hai la capacità di muoverti in avanti, non è che tu non sappia farlo in assoluto, ma c’è una qualche sensazione che ti si scatena in un certo campo, che negli altri sta al suo posto e non viene a darti fastidio. Allora è il caso di diventare capace di gestire questa sensazione e cambiare il tuo modo di affrontarla direttamente sul campo.

c) L’elastico fa parte della tua vita a 360°: allora complimenti, vinci il premio per “grande autosabotatore” 😉 Scherzo, ma un po’ è così, se vogliamo dirlo in termini semplici, sei un professionista nel metterti i bastoni fra le ruote per fallire nelle cose che vorresti. Ma, al contrario di quello che tu possa pensare, questo è grandioso, e sai perché? Perché appena avrai scoperto come fai specificamente ad autosabotarti così bene e te ne renderai completamente consapevole tanto da riuscire a farlo in piena coscienza e deliberato consenso, allora saprai anche cosa dovrai evitare di fare per ottenere l’effetto contrario, e come d’incanto, la vita ti sembrerà più semplice e scoprirai l’enorme piacere (si, hai letto bene “piacere) di avere la piena responsabilità della tua vita e delle cose che ti accadono. Allora sogni, obiettivi e successi non saranno più il solito illusorio miraggio, ma semplicemente, passi da fare, quando li vorrai e come li vorrai.

Ora, questa ovviamente è un’analisi molto generica.

Le domande che ti ho posto sono un piccolo aiuto, ma ricorda che non equivalgono ad una vera e propria diagnosi psicologica.

Se senti di volerci vedere più chiaro nella tua situazione e vuoi una mano per levarti questo benedetto elastico dalle scatol… ops, scusa… dalla schiena, puoi chiedere un appuntamento dal vivo (se sei di Roma) cliccando qui, o via skype (se non sei di Roma) cliccando qui.

Intanto… mentre ci pensi… rispondi alle domande.

Che situazione hai? La a), la b) oppure la c)?