Year2017

Oggi è la tua giornata NO? 3 cose che ti conviene fare per non trasformarla in una catastrofe

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La sveglia suona, apri gli occhi, spegni la sveglia, ti ributti per un attimo sul cuscino attendendo che la tua mente si desti dal sonno, in quei brevissimi istanti in cui tutto sembra ancora avere un assetto onirico ed ecco che il mondo, la vita, i problemi, i pensieri abitudinari che ti porti costantemente addosso ti ripiombano sul petto e ti ricordano cosa ti aspetta nell’alzarti dal letto.

Ci siamo, è l’inizio di una giornata NO.

Devi lavorare, fare le cose che devi fare, essere gentile, sorridente, produttivo/a, scintillante, ma non ne hai nessuna voglia.

Hai sonno, stai male, vorresti startene dentro casa a guardare film e mangiare patatine per non pensare più a niente, ma devi vivere e non puoi nasconderti.

Come si affronta tutto questo? Che si fa?

Bene, prima di tutto ecco 3 cose da evitare per non far diventare una semplice giornata NO, una catastrofe:

  1. Oggi, e solo per oggi, non prendere decisioni importati: anche se i tuoi ragionamenti sottili e catastrofici ti porterebbero a prendere determinate decisioni, che magari sai che dovresti prendere da un po’, oggi, e solo per oggi, evita assolutamente di prendere decisioni. Si, lascia tutto in stand by, dì a te stesso/a che sei momentaneamente fuori uso e che per quanto i tuoi pensieri più nefasti possano sembrare realistici e credibili, in verità, sei in preda ad una alterazione totale del tuo stato psichico/emotivo. Quindi, oggi e solo per oggi, evita di prendere decisioni importanti. Ti serve lucidità per farlo, e oggi no, oggi non ne hai. Quindi, astieniti.
  2. Se hai a che fare con persone importanti per te, vaccinale: se a lavoro devi parlare con un importante cliente e proprio non riesci a tornare sereno/a, se devi incontrare una persona speciale con la quale hai fissato un appuntamento da molto tempo e temi di fare qualche “casino”, se devi vedere tua madre, tuo figlio, tuo zio, il tuo partner o l’ex, vaccinali contro il tuo stato interiore. Semplicemente dì loro: “guarda, mi scuso in anticipo se oggi posso sembrarti fuori luogo, o antipatico/a o scorbutico/a, non ha nulla a che vedere con te. E’ solo una giornata NO”. Eviterai molte piccole disavventure relazionali alle quali poi dovresti porre rimedio domani. Gioca di intelligenza e spara un bel vaccino “anti-giornataNO”.
  3. Smettila di fare di tutto per riprenderti: a volte i nostri stati di malessere vengono esagerati proprio dai tentativi e dalla pressione che ci mettiamo addosso per cercare di farli passare. E’ vero che molti suggeriscono di metterti davanti allo specchio e urlare motivanti “SI, SONO GRANDE E CE LA FARO’”, ma spesso, questo genere di soluzioni, invece che farci rasserenare, ci fanno diventare ancora più nervosi, per il semplice fatto che, intimamente, non riusciamo per nulla a tornare tranquilli. Ci sono casi in cui il tentativo di modificare a comando uno stato emotivo con un altro esaspera solo l’emozione che si voleva eliminare. Ti senti arrabbiato e cerchi di tranquillizzarti? Diventi più arrabbiato. Sei triste e vuoi spingerti a diventare allegro? Diventi più triste. A volte, l’unica soluzione intelligente da adottare in una giornata NO è lasciare che sia, semplicemente, una giornata NO. Così resterà una giornata e non diventerà una settimana, un mese o un anno.

Bene, tutto questo ha senso se stiamo parlando di una sola giornata NO. Se invece, la tua giornata NO è un PERIODO NO, allora le strategie da adottare cambiano, perché, sai, evitare di prendere decisioni importanti, trattare continuamente male i propri cari e lasciare che il malessere interiore continui a stare dove sta, potrebbero non essere soluzioni sagge sul lungo periodo.

Se le tue giornate NO sono talmente tante da essere diventate un mese, due mesi o più, allora bisogna capire cosa succede e porvi rimedio. Ne va della qualità della vita!

In questi casi, un consulto professionale può aiutare a ridurre le tempistiche e ad individuare rapidamente e con successo quali possano essere le soluzioni più adatte al proprio caso specifico per ribaltare la situazione.

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La tormentosa questione dell’elastico attaccato alla schiena (Parte II)

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Ricordate la storia dell’elastico attaccato alla schiena?

Ecco, è arrivato il momento di riprenderla alla ricerca di una soluzione alla questione.

La vicenda era più o meno la seguente:

Cerchi di andare in una direzione, ti sforzi, ti sforzi, ti sforzi, e per quanto tu ci metta tutto l’impegno possibile, ogni volta che ti muovi di qualche passo in avanti, ecco che subito dopo arrivi come ad un limite, per cui per ogni passo che hai fatto e per la forza (sarebbe meglio dire “lo sforzo) che ci hai messo, ecco che vieni riscaventato indietro, velocissimamente, fortissimamente, al punto di partenza.

Proprio come se ci fosse un elastico intorno a te, che ti lega ad un palo, dietro di te.

In questo stato di cose, l’avevamo visto nello scorso articolo, fare più sforzi diventa dannoso, non solo perché c’è un dispendio non indifferente di energie, ma perché, ancora peggio, ogni volta che l’elastico ti rimanda indietro la convinzione di poter andare in avanti viene a mancare e ad incrinarsi, volta dopo volta.

Sono sicura che mentre leggi questo articolo ti sarà venuta già in mente una situazione della tua vita perfettamente adattabile alla metafora.

Quindi, prendiamo come esempio la tua situazione e riflettiamoci su:

Non hai la sensazione, in base allo sforzo che stai impiegando per riuscire ad andare avanti, che la tua motivazione pian piano stia venendo meno?

Ti accorgi di come, volta dopo volta, inizi a farti delle domande che all’inizio non ti facevi: “ma sarà davvero quella la direzione che devo prendere? Ma non è che mi sto solo incaponendo? Forse mi sto montando la testa e là io non ci posso arrivare, ma devo abituarmi e rassegnarmi al fatto che devo stare dove sono (vicino al palo, nella nostra metafora) e devo smettere di credere in sogni inutili?”.

Ecco qua, se la tua mente si sta riempendo, o magari si è già riempita, di dubbi come questi, allora ti do una prima rassicurazione: le cose che stai pensando non sono vere. Sono solo uno dei sintomi della sindrome da elastico attaccato alla schiena.

Ma quindi? Come si fa?

Se hai già letto il primo articolo, dovresti aver già messo in pratica il primo consiglio: smettere di sforzarti e di conseguenza dare forza all’elastico. Già facendo questo (ah, in termini tecnici della terapia strategica questo passo viene chiamato: interrompere la tentata soluzione disfunzionale) la sensazione di spossatezza, disagio, disperazione, calo di autostima e frustrazione dovrebbero scemare.

Ok, siamo già a buon punto.
Adesso gli scenari successivi dovrebbero essere due:

  1. Fermandoti nella pazza corsa contraria all’elastico, il tuo elastico specifico potrebbe essere caduto a terra, e per te è diventato più facile scavalcarlo agilmente con un passetto e continuare, finalmente, per la tua strada. E’ il caso del problema che si risolve da sé nel momento in cui smettiamo di cercare a tutti i costi di trovarvi una soluzione. O per meglio dire, è il caso del problema che in fondo non esisteva, ma che era stato letteralmente creato dalle soluzioni che cercavamo di applicarvi.
  2. La corsa contro l’elastico è stata fermata, ma l’elastico continua ad essere attaccato alla tua schiena, quindi, in ogni caso, non riesci a liberartene e ad andare avanti.

A questo punto bisogna fare un passo in più, quello giusto: uscire dalla morsa dell’elastico.

Ma come si fa?

Ecco alcune domande per iniziare a scoprire qual è la natura del tuo elastico:

  • C’è sempre stato o è comparso da un certo momento in poi?
  • Se è comparso ad un certo punto della tua vita, sapresti identificare quando? Dopo qualche evento particolare? Dopo una rottura? Una separazione? Un lutto? Un grosso cambiamento?
  • Se invece c’è sempre stato, lo senti in tutti gli ambiti della tua vita o solo in uno in particolare? Ad esempio, la storia dell’elastico la vivi solo sul lavoro? Solo nelle relazioni sentimentali? Solo nella tua famiglia? O in più ambiti?
  • Hai mai sperimentato dei momenti in cui, invece, l’elastico non ti ha tirato indietro? Ci sono state delle eccezioni? Ci sono ancora? Quando ti senti libero/a dall’elastico? In che situazioni? In che momenti? Con chi?

Prendi carta e penna e rispondi con calma a queste domande.

Potrebbe venirne fuori che:

a) L’elastico è la conseguenza di una rottura, un lutto o un grosso cambiamento che in qualche modo ancora ti tiene legato/a. Potresti quindi avere bisogno di una mano per finire l’elaborazione di un qualche lutto e mettere ordine dopo un cambiamento che ti ha stravolto la vita, le cui conseguenze sono state difficili da gestire per te.

b) L’elastico lo hai solo in un ambito specifico della tua vita, in altri no. Quindi hai la capacità di muoverti in avanti, non è che tu non sappia farlo in assoluto, ma c’è una qualche sensazione che ti si scatena in un certo campo, che negli altri sta al suo posto e non viene a darti fastidio. Allora è il caso di diventare capace di gestire questa sensazione e cambiare il tuo modo di affrontarla direttamente sul campo.

c) L’elastico fa parte della tua vita a 360°: allora complimenti, vinci il premio per “grande autosabotatore” 😉 Scherzo, ma un po’ è così, se vogliamo dirlo in termini semplici, sei un professionista nel metterti i bastoni fra le ruote per fallire nelle cose che vorresti. Ma, al contrario di quello che tu possa pensare, questo è grandioso, e sai perché? Perché appena avrai scoperto come fai specificamente ad autosabotarti così bene e te ne renderai completamente consapevole tanto da riuscire a farlo in piena coscienza e deliberato consenso, allora saprai anche cosa dovrai evitare di fare per ottenere l’effetto contrario, e come d’incanto, la vita ti sembrerà più semplice e scoprirai l’enorme piacere (si, hai letto bene “piacere) di avere la piena responsabilità della tua vita e delle cose che ti accadono. Allora sogni, obiettivi e successi non saranno più il solito illusorio miraggio, ma semplicemente, passi da fare, quando li vorrai e come li vorrai.

Ora, questa ovviamente è un’analisi molto generica.

Le domande che ti ho posto sono un piccolo aiuto, ma ricorda che non equivalgono ad una vera e propria diagnosi psicologica.

Se senti di volerci vedere più chiaro nella tua situazione e vuoi una mano per levarti questo benedetto elastico dalle scatol… ops, scusa… dalla schiena, puoi chiedere un appuntamento dal vivo (se sei di Roma) cliccando qui, o via skype (se non sei di Roma) cliccando qui.

Intanto… mentre ci pensi… rispondi alle domande.

Che situazione hai? La a), la b) oppure la c)?

 

Perché tradiamo, siamo sempre insoddisfatti e spesso mandiamo all’aria tutto senza apparenti motivi

Quando ero piccola un giorno mio padre mi tenne una lezione sulle relazioni umane.

Disegnò due pezzi di un puzzle che in un punto si incastravano alla perfezione. Uno dei due pezzi era così completo, mentre l’altro… restava con un buco al centro, che non veniva riempito.

Il disegno era più o meno così…

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Allora la cosa mi lasciò alquanto sconcertata.

Nel mio modo lineare e semplice di percepire la realtà, mi sembrava ingiusto, assurdo e triste che qualcuno venisse completato da una relazione e l’altro no.

Secondo mio padre, il buco al centro era la spiegazione delle trasgressioni all’interno di una coppia.

Per anni ho pensato a questa sua metafora e al suo disegno.

Ho tentato costantemente di contrastare, con le mie esperienze, la sua visione del mondo.

Ma, in verità, non ci sono riuscita.

In effetti devo ammettere che è vero: anche se in qualche punto di noi stessi le persone che scegliamo come nostri partner ci compensano, rimane sempre qualcosa di “non risolto” dentro di noi.

E più tentiamo di delegare al nostro partner l’incarico di completarci, di riempire i vuoti e spazzare via le nostre personali ambiguità, più ci sentiremo non compresi, sbagliati e, peggio ancora, sempre alla ricerca di qualcos’altro.

In questa prospettiva di cose, o siamo così fortunati da incontrare un vero e proprio “miracolo” vivente, in grado di mettere a posto ciò che noi stessi non riusciamo a mettere a posto, o ad un certo punto facciamo i conti con la realtà dei fatti e ce ne prendiamo la responsabilità ammettendo, a noi stessi prima di tutto, che si, la persona che abbiamo vicino ci rende felici, a volte, ma molto più spesso non arriva nemmeno lontanamente a comprendere ciò che profondamente ci turba, ci fa svegliare col magone e ci fa vivere in questo strano stato di perenne e immotivata, insoddisfazione.

E allora che dovremmo fare? Dopo aver preso coscienza del fatto che chi ci sta accanto non può e soprattutto NON HA il compito di riempire i nostri vuoti, che dobbiamo fare?

Davvero l’unica soluzione è la trasgressione? Cercare in altri ciò che i nostri partner non possono e non potranno mai darci? Tradire? Lasciare? E continuare così a strappare le trame delle nostre vite in modi che poi non solo non guariscono, ma feriscono di più e più profondamente?

Ecco 3 consigli per gestire la cosa, o almeno, per iniziare a prendersene cura in maniera più adulta:

  1. Rendersi conto che avere dei “buchi” interiori è normale e che li abbiamo tutti: non vergognarsi delle proprie vulnerabilità e non nasconderle soprattutto a se stessi è il primo passo per potervi venire a patti. Siamo tutti folli, ognuno a modo suo. Non esiste la perfezione, la persona senza pecche, quella del tutto equilibrata. E se qualcuno sembra essere così è il più folle di tutti. Le pazzie fanno parte dell’essere umano. Se fossimo già perfetti saremmo morti. Perché siamo qui per migliorarci, non per essere già migliori.
  2. Accettare il fatto che ognuno ha la responsabilità di guardare, comprendere e curare le proprie ferite e i propri difetti: non sono gli altri a doversi adattare a noi, non è il mondo a dover diventare più “buono” se la cattiveria ci manda in crisi, non è il partner a dover diventare più “comprensivo” se sentirci incompresi ci fa dare di matto e ci getta nella solitudine più profonda. Ciò che vibra dentro di noi, ciò che non ci fa sentire a posto, che ci fa paura, che ci fa arrabbiare ecc, sono tutte cose che rientrano nelle nostre personalissime responsabilità. Non è lui o lei a doversi adattare a te, né tu devi adattarti a lui o lei. Va bene, ci si supporta e ci si sopporta, ma il principale compito che abbiamo è quello di guarire noi stessi, chiedendo aiuto alle persone giusto al momento giusto. E no, i partner non sono degli psicoterapeuti, né degli infermieri, né dei genitori. Sono partner. Persone che ci camminano affianco. Punto.
  3. Distinguere i surrogati di guarigione dalla guarigione vera: molte persone riescono a fare i primi due passi, ma poi si perdono al terzo. Così capiscono di avere delle mancanze, sanno che i loro partner non possono compensare e quindi… cercano altri partner… Molti tradimenti, fughe, vizi di varia natura, sono solo modi che vengono utilizzati per “metterci la toppa”, non pensarci, rimandare il momento in cui dovremo affrontare DAVVERO i nostri sospesi. Ma cercare di tappare un forellino mettendoci dentro una pietra potrebbe persino allargarlo di più! A volte, le cose che tentiamo di fare per non sentire certe mancanze dentro di noi, sono proprio ciò che le renderà insopportabili nel tempo. Prendersi cura delle nostre fratture interiori, dei nostri modi di essere scomodi e scompensanti, delle nostre paturnie, follie e difetti è l’unico modo che abbiamo per vivere più felici nelle relazioni che costruiamo nel corso della nostra vita. Si dice che l’amore guarisca, ma lo fa solo se, dopo che esso ci ha indicato la zona d’ombra che abbiamo dentro, siamo noi a metterci mano, magari con l’aiuto di un professionista, quando serve 😉

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Perché quando siamo tristi le persone allegre ci danno quasi fastidio?

Avete presente quelle volte in siete giù per qualcosa che non è andata proprio come volevate e quando provate a parlarne in giro ecco arrivare le voci di chi sprona a ”non pensarci”, ”guardare avanti”, ”essere positivi” ecc… (Magari siamo noi quelle voci, per qualcun altro…).
Che fastidio vero? E che senso di solitudine…
Ma perché questi inviti a stare meglio, poi ci fanno sentire peggio?
Siamo davvero dei musoni vittimisti che si piangono addosso?
In verità le cose sono un po’ più complesse di così, e la questione principale riguarda il modo in cui funzionano il dolore e la tristezza.

Il punto è che siamo abituati a pensare di dover contrastare le nostre emozioni negative, perché a volte, le cose funzionano così!

Ad esempio, se hai paura di guidare e vuoi vivere una vita libera da questo tipo di limite, quello che dovrai fare, in un modo o nell’altro, sarà affrontare questa paura e pian pano metterti a guidare (qui gli approcci terapeutici hanno metodi diversi per aiutarti a farlo, ma lo scopo, alla fine sarà guidare, per forza).

Indugiare nella paura non farà altro che amplificarla e abbassare sempre più la tua capacità di entrare in macchina, girare la chiave, mettere in moto e partire, verso l’infinito e oltre!

Ma dolore e tristezza non funzionano così.

Se sei depresso per qualche motivo e le persone che ti vogliono bene vengono da te per spronarti a uscire, fare cose, vedere gente, l’unica cosa che accadrà è che ti sentirai più incompreso e solo di prima e se proprio riuscirai a fare tutte le cose che gli altri vorrebbero tu facessi, le farai con una difficoltà immane ed una pesantezza tale che, alla fine della festa, ti sentirai ancora più stanco, spossato e depresso di prima.

La tristezza vuole farci fermare.
Indica una ferita che va disinfettata.
O una frattura che va curata…
Non si può usare un cerotto per sistemare un braccio rotto, non ti pare?
Ma questo cosa significa? Che se sei triste devi chiuderti in casa, sul divano, davanti la TV a fare dei party di autocommiserazione?

Beh, forse si, forse a volte dovresti proprio farlo. Solo che non dovresti fermarti lì, perché accettare la tristezza è solo il primo passo per uscire dall’altro lato del tunnel.

Il dolore non va cancellato, né dimenticato, né sconfitto. Il dolore va ATTRAVERSATO.

Cosa fare quindi se si è tristi da troppo tempo e non si sa più come rialzarsi?

PRIMO: smetti di straparlarne in giro, e inizia a scrivere. Scrivere ti aiuta a liberarti di pesi altrimenti insostenibili e a guardare le cose da un’altra prospettiva (e non avercela con chi cerca di tirarti su, non sono tutti dei terapeuti. Ti vogliono solo molto bene. Solo che non sanno cosa fare, come te…).

SECONDO: A volte, è sufficiente rallentare, guardare in faccia questa tristezza, per farla trasformare, come accade in questa scena di INSIDE OUT…

TERZO: Quando il dolore assume forme più complesse, quando magari ha origine da qualcosa di più grave che un mero passaggio di umore basso, quando nasce da una perdita grossa della tua vita, da un lutto, da una separazione, o da un trauma, allora ci potrebbe volere l’aiuto di un professionista che ti aiuti a trovare la strada nel labirinto di sofferenza nel quale non fai che girare e rigirare senza via di scampo.

Ricorda, ci sono fosse dalle quali possiamo uscire da soli, con un po’ di impegno, ma alcune sono dei veri e propri pozzi e in quei casi, abbiamo bisogno di una mano che ci risollevi o che ci tiri una corda alla quale aggrapparci.

La tormentosa questione dell’Elastico attaccato alla schiena

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Avete mai provato la sensazione di non riuscire ad andare avanti nella vita?
Come se ci fosse un elastico, un enorme elastico che vi lega, indietro, da qualche parte alle vostre spalle.
E voi fate di tutto per divincolarvi, per tentare di liberarvi, ma l’elastico vi lega là e se con enorme sforzo, riuscite a fare quei 2, 3 passetti che le persone “normali” fanno fischiettando, la felicità non dura che pochi minuti, perché immediatamente dopo, proprio a causa della forza che avete voi stessi esercitato per muovervi in avanti, l’elastico avrà la spinta per rigettarvi indietro, con violenza, tanta più violenza quanta più forza avete impiegato per fare quei due miseri passi in avanti.
E “SBAM”, sarete nuovamente sbattuti al palo a cui è legato l’elastico, ancora una volta, e poi ancora, e ancora, e ancora, senza possibilità di scampo.

Così alternate momenti in cui vi arrendete (e vi deprimete) perché non c’è davvero nulla da fare a riguardo (l’elastico esiste, ed è più forte di voi), a momenti in cui, dopo il riposo della resa, risentite la voglia di riprovarci, di nuovo, con più forza, con più furore, nella speranza di spaccare l’elastico ed essere finalmente liberi.
Ma la storia si ripete: “SBAM”, 2 passi avanti e 700 indietro…

E allora? Che si fa? Come se ne esce?
Eh, non lo nascondo, è un bel casino… ma di certo, guardando il disegnino che mi è venuto in mente questa mattina mi appare evidente (e forse apparirà evidente anche a voi) che la prima cosa da fare per interrompere il circolo vizioso (o sarebbe meglio dire il “molleggiamento” vizioso) sia INTERROMPERE IMMEDIATAMENTE TUTTI I TENTATIVI FOLLI E DISPERATI DI FARE QUEI DANNATI PASSI IN AVANTI. Perché più lottiamo per andare avanti, più l’elastico ci ricondurrà dietro e, quel che è peggio, lo farà proprio con lo slancio che noi stessi gli avremo offerto sforzandoci di fare i passi in più.
Quindi, primo consiglio del giorno contro l’elastico: SMETTI DI DARE SLANCIO AL TUO ELASTICO.


 

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